Due anni e mezzo di “Passeggiate”: dalle Valli dell’Orco e Soana all’Anfiteatro Morenico di Ivrea, dall’imbocco della Valle d’Aosta alle propaggini meridionali e occidentali delle colline, all’inizio della grande pianura del Po
Entusiasmante, eccitante, istruttivo. A me piace guardare al futuro, aderire alle forze vive, all’erba bambina. Non sono tanto bravo nella critica e la lascio agli esperti. “Passeggiate nel Canavese” ha significato due anni e mezzo di Canavese, percorso in lungo e in largo, in ogni stagione, dalle Valli dell’Orco e Soana all’Anfiteatro Morenico di Ivrea, dall’imbocco della Valle d’Aosta alle propaggini meridionali e occidentali delle colline, all’inizio della grande pianura del Po. Succhiato, goduto, respirato, inalato. Ci sono cresciuto dentro in questo viaggio, immaginato a piedi. Una delle forme più belle ed eccitanti che l’apprendimento può assumere. E ora cerco di rispondere, nei limiti imposti da un articolo di giornale, alla richiesta del Direttore di fare il punto. Farò una sorta di lista delle cose che più mi hanno colpito, stimolato, dato da pensare e da godere.
Uno. Non solo la bellezza del paesaggio ma persone speciali! Il Canavese è un territorio da percorre a piedi o in bicicletta, per coglierne la ricchezza, le suggestioni, il fascino. In macchina ti perdi il meglio. E non solo lungo le arterie principali. Le sorprese e gli incanti richiedono l’audacia delle vie secondarie, delle stradine di terra battuta, dei sentieri, per altro già abbastanza accuratamente segnati. Un territorio ideale per chi ama pensare, riflettere, meditare, ricercare la serenità e la pace interiore, ma anche rinnovare la carica di energia in maniera ecologica, sana. Ma fermarsi al fascino del paesaggio sarebbe limitare di molto l’esperienza-Canavese. Il Canavese che ho incontrato è soprattutto un numero incredibile di persone bellissime, speciali, operose e creative. Attori intelligenti, motivati, spesso gioiosamente visionari, che lavorano alla trasformazione del mondo.
Due. Un pullulare di iniziative avanzatissime… per lo più sconosciute. Certo la città è luogo di fucina di idee, innovazione, sapere, progettazione. Ma se giri il Canavese come me sarai sorpreso – perché non te lo aspetti – di quanto la campagna, la collina, la montagna siano teatro di un lavorio incessante di ricerca attiva, intellettuale e pratica (la miglior forma di vita intellettuale e di vita pratica) insospettata. Infatti pullula di iniziative innovative incredibili, che non sono conosciute a dovere perché rimangono fuori dalla visibilità che i media solitamente offrono ad altro (anche più noioso). Il che crea una situazione paradossale ma anche paradigmatica perché queste iniziative restano spesso localmente ignorate mentre sono connesse globalmente con network sparsi in tutto il mondo, ispirati a grandi movimenti di pensiero e di azione tra i più promettenti e i più innovativi oggi sulla faccia del pianeta. E può succedere per esempio che a Palmdale (California) e a Findhorn (Scozia) sappiano di Ortodicarta di Lessolo – dove Nicola e Noemi praticano permacultura e stanno costruendo una casa di paglia, mantenendo vivo un blog puntualmente redatto in italiano e inglese – mentre Alfio Bertodo che a Lessolo ci abita, e che pure è membro di un’associazione di idee molto vicine alla loro filosofia (Orto Etico), ignora completamente la loro esistenza a un paio di chilometri dalla sua abitazione. È dunque un ricchissimo Canavese ancora da “scoprire”, letteralmente.
Tre. Il ruolo crescente della terra nei processi culturali innovativi del nostro tempo. Passeggiare in Canavese a questo modo consente di rendersi conto di un altro dato esplosivo della nostra epoca. Che è a proposito della terra, del suolo, che si sviluppano movimenti creativi potenti e destinati a ingigantirsi rivolti alla costruzione del futuro – la centralità della terra sostituisce la centralità della fabbrica. Questi movimenti posseggono un ricchissimo patrimonio ideale, assolutamente irriducibile ad un unica definizione, anzi ostile ad una definizione unica perché fiero della propria biodiversità culturale, che attinge a saperi altri e molteplici. In questo crogiolo di stimoli culturali e di saperi trovano posto scuole favolose di agricoltura biologica, teorie nuove di gestione della transizione a un mondo meno dipendente dal petrolio e dal pil, scuole tradizionali di medicina naturale rinnovate per rispondere a bisogni contemporanei, pratiche di arti marziali che rivelano la loro vocazione sapienziale, pratiche di meditazione orientale sempre più diffuse, concezioni fortemente spirituali del nostro rapporto con la Terra, pratiche alimentari sofisticate e consapevoli, una spiritualità ricca di sensibilità volta alla espansione della consapevolezza, protesa alla ricerca di un’armonia psicofisica inedita nella cultura occidentale tradizionale, che per altro si sposano meravigliosamente con le tecnologie e le ricerche più avanzate. E non solo nel territorio dei prodotti orto frutticoli, ma – in maniera sorprendentemente esplosiva – nel settore delle erbe (commestibili, officinali, aromatiche, spontanee…). In questa ricchissima e variegata visione la preoccupazione economica non ha il ruolo predominante – come avviene nella cultura materialistica della modernità – ma è solo una parte, talvolta marginale, di un orizzonte che si colora di valori di largo respiro, incentrati sulla qualità della vita, personale e sociale, dell’evoluzione individuale e delle relazioni, dell’apprendimento, dell’evoluzione dello stesso pianeta.
Quattro. Tanti giovani felicemente folli. I nuovi contadini (come spesso vengono chiamati) – mi piace particolarmente l’appellativo di “Bionieri” che molti rivendicano (in un loro sito: http://bionieri.ning.com/) – sono una figura veramente innovativa nel panorama antropologico a cui siamo abituati. Hanno formazione elevata, sono scaltri nella moderna tecnologia e soprattutto nell’uso dei social network, idealmente molto lontani dai valori del consumismo e protesi in maniera decisa verso la qualità della vita, la vitalità creativa, la sperimentazione. Impregnati di una consapevolezza che s’interroga sui destini del pianeta, dello stile di vita, generalmente piuttosto disincantati nei confronti della casta che detiene i poteri istituzionali, e alla ricerca di forme alternative di rivoluzione silenziosa e pacifica. Agli antipodi rispetto agli Yuppy, più vicini agli Hippy ma in versione liberata dallo sballo, energica, sveglia e intraprendente.
Cinque. Impegno crescente dal basso nella valorizzazione del territorio. Dal Parco del Gran Paradiso fino alle pendici delle colline moreniche, non c’è un francobollo di terra canavesana che non veda una molteplicità di persone diversamente impegnate, in gran parte nella forma del volontariato, nella valorizzazione del territorio. Interessante, promettente, significativo, da enfatizzare, la presenza in queste forme di attività di pensionati e ultra sessantenni. Spesso sono energici settantenni a occupare nelle varie iniziative un ruolo di leadeship. Il che fa pensare al patrimonio di energie potenziali che la Terza Età Canavesana potrebbe ancora mettere in gioco con effetti moltiplicatori. Ma – dall’altra parte della linea dell’età – molti giovani sul fronte dell’impegno e delle iniziative sul territorio! Emerge una figura nuova di giovane, non più attratto dai miti della scalata ai vertici della carriera, o dal gioco del consumismo di ostentazione, ma orientato su direzioni nuove e diverse: un lavoro all’aperto, sul territorio e mobile, lontano da uffici e fabbriche, avventuroso, esplorativo.
Sei. Una crescente attenzione alla Bellezza. Certamente il territorio ha un potenziale oggettivo di Bellezza difficilmente sopravvalutabile, ma come si sa la Bellezza, alla fine, è negli occhi di chi guarda. Ed è negli occhi dell’osservatore che il valore della Bellezza si viene a confrontare con l’Utile. La mia impressione di camminatore del Canavese è che il valore della Bellezza abbia avuto negli ultimi tempi una crescita e una diffusione straordinaria. Accostando le aziendine agricole, gli orti biologici, le piccole tenute a vigneto, si ha la netta sensazione del ruolo primario che la cura della Bellezza occupa all’interno delle attività produttive. E non si tratta della bellezza finta e recitata dei prodotti standard del supermercato, che non mantiene la promessa di gusto e sostanza cui sembra alludere. Si tratta di una Bellezza schietta, radicata nella sincerità biologica, che assurge a manifesto di una cultura Bio potente, oserei dire epica! Il trionfo di questo culto e celebrazione della Bellezza Bio che tu avverti all’opera su tutto il territorio ha il suo culmine, come tutti sanno, nei giorni dedicati al giardino del Castello di Masino. Essi danno anche la misura del ruolo e dell’importanza che la cura del giardino e del paesaggio hanno assunto e tendono ad assumere sempre più nel processo culturale di rinnovamento del mondo. È impossibile partecipare alla Tre Giorni di Masino senza avvertire il richiamo potente che vuole orientare la nostra operosità nel suo insieme: fare del mondo intero un Giardino. E non è, forse, un caso che proprio sulla collina di Masino, sul territorio adiacente di Cossano sia nato in Polaris un ambizioso progetto di architettura del paesaggio.
E qui mi fermo. Non senza rilevare che questi due anni e mezzo di Canavese sono stati per me lo stimolo più potente degli ultimi decenni a nutrire quel bisogno di cultura innovativa, vitale, espansiva, dinamica, sognatrice che dev’essere iscritto nel mio DNA. Questo per sottolineare quanto si sbaglino quelli che immaginano il cosiddetto ritorno alla natura come una sorta di estraniazione dal dinamismo della storia e di fuga dal mondo. Quello che ho visto sulla terra canavesana è che si sta sviluppando un humus favorevole al potere interiore e personale. La libertà di gestire la propria formazione con consapevole libertà, di trovare la propria ispirazione, di dare forma al proprio ambiente e condividere l’avventura con chi si avvicina liberamente. E questo è biologia evolutiva, questo è futuro.
Eugenio Guarini
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Nov 24 2011
I Bionieri del Canavese
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