IVREA – Eccellenze reverendissime, carissimi fratelli e sorelle, preti, diaconi, religiosi, e laici, carissimi amici, sia lodato Gesù Cristo.
Gesù Cristo è il Salvatore dell’uomo, di tutto l’uomo, non soltanto di tutti gli uomini. Di questo ci parla oggi il Signore nelle letture della Santa Messa, che a prima vista potrebbero sembrare inadatte alla circostanza, ma non ho voluto, che fossero sostituite da altre, perché quel che la Chiesa ci dona di giorno in giorno nella santa liturgia, è sempre il cibo più adatto. Gesù Cristo Salvatore dell’uomo, di tutto l’uomo. Nella nostra vita di uomini, la vita reale che si vive, sono intrecciate opere buone e peccati, fedeltà e infedeltà, fortezze e fragilità, scelte giuste ed errori, efficienze e deficienze, attese e delusioni, gioie e sofferenze, amore e ristrettezza di cuore; questo è l’uomo nelle realtà; l’uomo che non si nasconde a se stesso e non si camuffa agli occhi suoi e agli occhi degli altri. Così siete voi, fratelli, sorelle e amici, così sono io, su cui si è posata la scelta del Signore perché diventassi annunciatore della lieta notizia e guida di questa Chiesa. Nell’incontro con la lieta notizia che è Gesù Cristo, presente in mezzo a questo intreccio di situazioni e di circostanze che costituisce la vita, Lui che ci ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Il mio compito tra di voi è di richiamare incessantemente questa presenza di Salvatore, non solo con la parola, l’insegnamento della dottrina; non solo con i Sacramenti, il ministero della Santificazione; non solo con il governo, ma innanzitutto con l’adesione della mia vita personale a Gesù Cristo, Maestro, e Pastore. Mi verrebbe da dire con l’amore per lui, ma preferisco dire con l’amare lui, poiché, l’amore è un sostantivo, ma amare è un verbo, e come ogni verbo comporta l’agire; sull’amore si possono scrivere trattati, l’amare si traduce necessariamente in una storia. Sarò all’altezza del mio compito? Se guardo me stesso, vi dico subito no, e ve lo dico sulla base di una realistica considerazione dei miei limiti. Ma io, come ognuno di voi sono chiamato a guardare a Cristo. Sarebbe un terribile sbaglio guardare a se stessi senza guardare al Salvatore, che non soltanto è venuto, ma è presente proprio per realizzare ciò che da soli non siamo in grado di fare. Perciò in questo momento guardo a Cristo. E questa vita che io vivo nella carne, la vivo nella fede di Dio, che mi ha amato, ha dato se stesso per me. Si tratterà allora di coniugare questo verbo “amare”. Inizia, fratelli e sorelle la mia storia di Vescovo, il mio amare Cristo, da Vescovo della Chiesa che è sua, non nostra. Se vi aspettate che in questa prima omelia abbozzi un programma dicendovi come intendo coniugare negli ambiti della vita ecclesiale il verbo “amare” vi deludo. Amare Gesù Cristo, come Vescovo di questa Chiesa, è iniziare una storia con voi, che siete questa Chiesa. Aiutatemi ad impostarla bene questa storia, fatevi conoscere realmente senza finzioni e senza paure, fatemi conoscere la realtà di questa comunità, siate leali, ditemi davvero quello che pensate, sempre. È questo l’impegno che anch’io oggi assumo nei vostri confronti. Voi ci siete, e io ci sono per amare Gesù Cristo, per lasciarci salvare da lui nella concretezza di una storia che è la nostra vita: la vostra e la mia che si intrecciano. Egli è il Salvatore della nostra umanità; egli è colui che ci fa scoprire la bellezza di essere uomini, uomini e donne; è colui che ci aiuta a realizzare questa bellezza, poiché, amici, la vita è bella. So che questa espressione può addirittura suonare ingenua, se non offensiva, in un tempo che da ogni parte è detto di crisi, caratterizzato da questioni, e problemi di vario genere. Dai problemi del lavoro che manca, alle difficoltà che si mostrano con un volto nuovo rispetto anche ad un recente passato. Un tempo caratterizzato da una crisi culturale, che non è estranea anche alla crisi della trasmissione del Vangelo; difficoltà e problemi, alcuni enormi, ma permettetemi di dire che “la vita è bella”, ed è bella non perché sia piacevole e rosea sempre, ma perché è una promessa fatta da Dio con la vittoria di Gesù Cristo. E ogni mattina che ci alziamo dal letto, qualunque sia la situazione, anche la più sofferente che si possa immaginare, è un bene che sta per sorgere sul nostro orizzonte di uomini. Ciò in cui ci dobbiamo sostenere, essere fratelli, è la certezza di questa positività; è affrontare la vita, tutta la vita, alla luce di questa certezza. Ci sono i malati, gli anziani, spesso soli, ci sono uomini e donne, che in vari modi soffrono nelle diverse circostanze della vita. Li abbraccio di cuore tutti quanti, ma li abbraccio in questa certezza: della positività della vita. Tutto ciò che dovremo fare, e quante cose dovremo pensare e fare, avrà senso soltanto nella fede del figlio di Dio, che ci ama, e dà se stesso per noi. Oggi inizia a Roma il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione del Vangelo, e sta per iniziare l’anno della Fede indetto dal Santo Padre. Chiedo a Dio che dia il tono non solo all’inizio del mio Episcopato, ma a tutto il mio Episcopato, nella fede del figlio di Dio, nella sua fedeltà verso di noi, nella fede che noi abbiamo in Lui, cioè nell’adesione della nostra mente, del nostro cuore, delle nostre forze, a Lui che è la via, la verità e la vita, non una delle vie, ma l’unica senza la quale non c’è cammino, l’unica verità che è più importante anche delle cose che ci paiono esatte, l’unica vita poiché senza di Lui, non si vive. In Lui tutto ha la propria consistenza: il filo d’erba che spunta a primavera da terra, il sole, la luna, le stelle, il mare con la sua potenza e bellezza, i monti con la loro nobile altezza, il bimbo che nasce dal grembo della madre, l’anziano che si avvia al tramonto terreno. Tutto ha la sua consistenza in Lui. In Lui hanno la propria consistenza l’amore che sfocia tra un ragazzo e una ragazza, l’amore di uomo e di una donna che diventa cammino di crescita nella fedeltà, l’amore di un prete per la sua comunità, la chiamata ad una consacrazione speciale o al sacerdozio, il lavoro, qualunque lavoro di uomo che fatica e faticando scopre la bellezza di essere collaboratore di Dio. Non c’è fatica e riposo, non c’è pressione, non c’è libertà, non c’è rapporto, non c’è lavoro, non c’è palpito di vita, non c’è nulla che senza di Lui, al di fuori di Lui, raggiunga la propria pienezza. E di che cosa, se non della pienezza può essere soddisfatto il cuore dell’uomo fatto per l’infinito. “Per meno di tutto non vale la pena” lessi un giorno su un manifesto. Mi ha colpito questa frase. È così amici, è vero. Questo è il cuore del cuore dell’uomo, per meno di tutto niente vale la pena. Al di fuori di questo rapporto di amicizia con Cristo non vale la pena neanche cercare ciò che ci piace e che ci da un momento di felicità. La salvezza che Cristo ci offre è quella del peccato, ma è anche la trasformazione di tutto il nostro essere, di tutta la nostra persona, della nostra storia personale, è la cristificazione che l’apostolo espresse con quel “per me vivere è Cristo, per me la vita è Cristo”. Tutta la vita: lo svegliarsi al mattino e andare al lavoro, lo svegliarsi al mattino e aprire gli occhi sul fatto che altri il lavoro non l’hanno, il rapporto con gli altri lungo la giornata, il dormire, lo star svegli, il vivere e il morire, in Cristo Gesù come San Paolo ripete quasi come un ritornello nelle sue lettere, poiché, apparteniamo al Signore, siamo parte di lui. Essere uomini, la nostra prima vocazione nell’universo creato, essere uomini, che prendono sul serio la loro umanità, si costruisce, e si compie in Gesù Cristo. Amici, attraverso la voce del suo Vicario, sono stato mandato qui da Cristo, per ricordarvi questo innanzitutto e soprattutto inserito attraverso la voce della chiesa nella successione apostolica. Questo il programma, anche se poi esso dovrà essere declinato in tutti i casi della vita e anche se poi il verbo amare, dovrà essere coniugato in tutti i modi, e i tempi della coniugazione verbale. Nel mio primo saluto, al momento in cui è stata resa pubblica la mia nomina a vostro Vescovo, ho scritto: “ciò in cui desidero crescere anche come Vescovo è la mia amicizia con Gesù Cristo, l’intima amicizia con Gesù da cui tutto dipende”, come splendidamente scriveva il Santo Padre Benedetto XVI° nel suo libro “Gesù di Nazaret”. Ciò a cui tengo maggiormente e che desidero servire, è la vostra amicizia con Cristo. Ciò di cui sono certo è che la nostra amicizia personale con Cristo farà crescere anche la nostra reciproca amicizia di discepoli. Tutto il resto ha senso solo in questo contesto; tutto il resto, lo vivremo vivendo nella comunione con il Vicario di Cristo al quale esprimo la mia più convinta adesione di fedeltà. Oso ripetervi queste parole che ho scritto nel primo saluto: il mio amore per voi in questo momento, siamo realisti, è un sentimento. Sarà la nostra storia a dire se il sentimento, si traduce in atti di amore autentico. L’anello che porto al dito, che mia madre mi ha regalato, mi ricorda il vincolo che ho contratto oggi con voi, attraverso questo vincolo io chiedo al Signore di crescere in questa comunione. Quando bacerete questo anello, questo gesto non è un salamelecco fatto al Vescovo, ma una rinnovata affermazione della realtà, che ci unisce. Per questo l’anello che porto, è così bello: perché è simbolo di una realtà bellissima. E allora in Cristo Gesù iniziamo questa storia, e ci benedica tutti, il Signore sposo della chiesa, Pastore a cui la Chiesa appartiene. Quello che noi abbiamo di più caro scriveva un grande cristiano del secolo scorso, è Gesù Cristo, Lui solo, e tutto ciò che da lui ci viene, perché noi sappiamo che in Lui abita corporalmente la pienezza della divinità. Di Lui ci parla stupendamente anche il Rosario con i suoi misteri contemplati nella semplicità della preghiera quotidiana. Contemplati attraverso lo sguardo e il cuore di Maria, colei che più di altro si è lasciata conformare a Cristo benedetto, frutto del suo grembo di donna. Questa prima domenica di ottobre che ho scelto per l’ingresso, proprio perché dedicata alla Regina del Santo Rosario, a Lei Vergine Madre, a Lei di speranza fontana vivace, Madre della grazia divina affido il mio, il vostro cammino, all’incontro con Cristo chiedendo ai nostri Santi Patroni, di pregarla, con noi e per noi. A Lei volto della tenerezza di Dio, a Lei assunta in cielo in anima e corpo come questa Cattedrale ci ricorda con grande amore. A nome di tutti rivolgo l’invocazione della Chiesa: salve Madre di misericordia, vita dolcezza e speranza nostra, Augusta Regina delle vittorie, Sovrana del cielo e della terra, Regina gloriosa del Rosario, volgi il tuo sguardo pietoso su di noi, sulle nostre famiglie sull’Italia, sull’Europa, sul Mondo. Sia lodato Gesù Cristo.
Ott 08 2012
“In questo momento guardo a Cristo”: l’omelia del nuovo Vescovo di Ivrea
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