È stato pubblicato, sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Proceedings of the Royal Society B – Biological Sciences”, uno studio condotto da ricercatori del Parco Nazionale Gran Paradiso e delle Università di Pavia e di Zurigo, riguardante la bassa variabilità genetica dello stambecco alpino, animale simbolo dell’area protetta.
Lo stambecco alpino è una specie che, dopo aver rischiato l’estinzione agli inizi del ‘800, è oggi caratterizzata da una bassissima variabilità genetica. Tutti gli individui attualmente esistenti (circa 40.000 sulle Alpi nel 2014) originano infatti da un nucleo di meno di 100 individui sopravvissuto all’estinzione e poi protetto nei territori dell’attuale Parco Nazionale Gran Paradiso, istituito nel 1922.
Grazie alla raccolta di dati a lungo termine su stambecchi marcati individualmente, in corso nel Parco fin dal 1999, dimostra che gli effetti negativi dell’incrocio fra consanguinei, conseguenza del basso numero di individui che ha dato origine all’attuale popolazione circa duecento anni fa, sono oggi ancora misurabili.
Inoltre, mediante una innovativa tecnica statistica che permette di comprendere i rapporti di causa-effetto fra i vari caratteri oggetto dello studio, la ricerca è riuscita a dimostrare che gli individui più “inincrociati”, cioè quelli con variabilità genetica minore, hanno una massa corporea inferiore rispetto a quelli con maggior variabilità e mostrano una ridotta resistenza ai parassiti. La massa corporea è un carattere fondamentale negli stambecchi maschi, per la sopravvivenza nei gelidi mesi invernali e per il successo nella competizione con gli altri maschi per l’accesso alle femmine. A loro volta, il ridotto peso e la bassa resistenza ai parassiti causano la crescita di corna più piccole e questo, nelle lotte fra maschi, può rappresentare un ulteriore handicap.
“Le popolazioni di animali e di piante composte da un basso numero di individui incontrano seri problemi e rischiano più facilmente di estinguersi a causa della perdita di variabilità genetica – spiega Achaz von Hardenberg, biologo del Parco Nazionale Gran Paradiso e coautore dello studio – Nel caso dello stambecco alpino, il nostro studio indica la necessità di maggiori sforzi per garantire che le molte popolazioni reintrodotte negli ultimi 50 anni sulle Alpi siano maggiormente connesse fra di loro per garantire lo scambio genetico fra le stesse.”