Il primo ministro del Tibet Lonsang Sangay in visita a Torino

La visita del primo ministro del Governo in esilio del Tibet, Lobsang Sangay a Torino, realizzata con l’impegno della Regione Piemonte e dell’Associazione peri il Tibet ed il diritti umani è stata l’occasione dell’incontro e della conoscenza con il capo del governo di un Paese che si trova occupatodal 1950.
Particolarmente toccante è stato il momento pubblico, svoltosi venerdì nella sede del Museo di Scienze Naturali in via Giolitti a Torino. Lobsang Sangay ha ricordato di essere stato eletto con il voto di tutti gli appartenenti alle comunità tibetane all’estero e che le schede per le votazioni sono state portate a dorso di yak in luoghi dove la temperatura arriva sino a meno quaranta gradi ed in altri luoghi dell’India dove invece supera i quaranta gradi. Il primo ministro ha poi esposto un episodio che dovrebbe fare riflettere: sul finire della campagna lui e l’altro competitore in corsa per il premierato dovevano tenere due confronti, uno a Delhi e l’altro a Dharamsala. Poiché vi sono 12 ore di auto tra i due posti ed essendo il taxista che li portava letteralmente stremato, si sono fermati in un albergo e, viste le poche stanze disponibili, ne hanno divisa una entrambi.
Sulla situazione attuale del Tibet, Lobsang Sangay, che è si è laureato ed è docente ad Harvard, ha detto che “è estremamente seria e grave. La bandiera tibetana è proibita, chi l’ha finisce immediatamente in carcere. Essere trovati in possesso di una foto del Dalai Lama può portare delle conseguenze serissime ed il carcere”. Il premier tibetano in esilio ha ricordato il voto del Parlamento italiano dell’8 febbraio di quest’anno a favore dell’indipendenza, della libertà e della democrazia in Tibet. “I Tibetani in Tibet sanno che c’è un forte sostegno in Italia, come in non molti altri Paesi quali gli Stati Uniti, l’Unione Europea il Giappone dove c’è stata una mozione di oltre 100 parlamentari. Lobsang Sangay ha ricordato anche i 59 (nel frattempo sono diventati 60) tibetani che si sono immolati col fuoco per la libertà nel loro Paese, dei quali 43 (ora diventati 44) soltanto quest’anno. Poi ha tracciato un parallelo con i bonzi che si davano fuoco ai tempi della guerra del Vietnam, con Jan Palak a Praga ai tempi dell’invasione sovietica del 1968, con chi si è dato fuoco in Tunisia e la nascita della  “Primavera Araba”. Alle due sostanziali richieste, ovvero che il Dalai Lama, guida spirituale di tutti i tibetani, possa tornare in Tibet e che i tibetani possano essere liberi, il Governo cinese ha reagito con una repressione ancora più dura. E ha citato le parole di uno studioso cinese. “Oggi a Lhasa ci sono più cinesi che tibetani, più fucili che lampade, più videocamere di sorveglianza che finestre, più militari che monaci”. Turisti e giornalisti non possono entrarvi, BBC e CNN si sono visti minacciare del ritiro del visto, l’associazione Giornalisti senza frontiere ha detto che la situazione è peggio che in Corea del Nord, dove almeno c’è un giornalista straniero.
Il premier del Tibet ha poi insistito sul fatto che quello che il suo popolo chiede è un’autonomia reale all’interno della Cina, e che nella sua responsabilità di primo ministro vi è il compito di andare ovunque nel mondo per condividere la sofferenza tibetana. “Questa è la realtà, così è come stanno le cose”.
All’incontro pubblico al Museo di Scienze naturali ho preso parte come consigliere comunale di Parella e dell’Unione delle Terre del Chiusella e fatto presente che Parella ha aderito, con circa altri 200 enti locali piemontesi alla campagna di sensibilizzazione per la libertà e la democrazia del Tibet, suo tempo effettuata, e che nella sala consigliare c’è la bandiera tibetana la quale verrà rimossa soltanto quando il popolo tibetano avrà la sua libertà. Personalmente mi ha colpito la dignità di chi sta viaggiando all’estero perorando la causa di un popolo che è sotto l’ultimo piede coloniale, anche se l’epopea delle decolonizzazioni è ormai consegnata alla storia (non, però, delle dipendenze economiche, ma questa è un’altra storia ancora in fase di scrittura). Il Movimento Progetto Piemonte, proprio perché il Piemonte è una terra che da sempre ha dato nella storia grandi esempi di libertà e di democrazia, basati sull’autodeterminazione, si farà portatore, da solo o con altre forze ed associazioni, in tutte le sedi dove è presente e dove ha degli amici o sostenitori di iniziative a favore del Tibet e del popolo tibetano affinché anche in quella lontana terra la sua bandiera possa sventolare libera. E si appella a tutti i movimenti veramente autonomisti per coordinare le proprie forze a questo obiettivo, nobile, senza secondi o terzi fini, nella vicinanza ad un popolo veramente oppresso.
Massimo Iaretti
Presidente  Movimento Progetto Piemonte   

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