CALUSO – Un po’ di leggenda per coltivare i sogni: “…La quiete e la tranquillità dei luoghi fecero sì che da quegli attimi d’amore nascesse una bellissima bimba dagli occhi color di cielo, dai lunghi capelli d’oro splendenti e dalla pelle lucente color rugiada. Nacque sul bric più alto di Caluso, nel tempietto del Sole e dell’Alba e venne chiamata Albaluce. Le sue compagne, le Ninfe del bosco e del lago e delle fonti non erano gelose della sua eccezionale bellezza poiché essa sapeva essere amica con tutte e tutte rallegrava con il suo gentile e signorile tatto. Ben presto si diffuse tra i mortali la fama di questa stupenda ragazza. Bastava un sorriso della Ninfa Albaluce per addolcire gli animi desolati e tristi, per ravvivare i cuori sconsolati dei vecchi, per confortare le donne stanche dalla fatica dei campi e dalle cure onerose della nidiata di figli. Il gran Sacerdote del Bric ampliò il tempietto di frasche e di paglia e dei grandi massi di pietra levigata dal grande ghiacciaio vennero trasportati in cima al colle a formare delle masere che delimitarono un ampio spiazzo erboso destinato al culto esclusivo della Ninfa. Parecchi giorni duravano i banchetti per festeggiare l’annata trascorsa, per ringraziare gli dei dell’abbondanza della pesca e della caccia, delle messi e delle erbe e soprattutto per propiziare la Ninfa Albaluce per un ottimo autunno ed un inverno mite. I riti e i sacrifici si alternavano durante tutta una settimana e al termine di essa il gran sacerdote e tutti i partecipanti si recavano sulla sommità del bric con lo sguardo rivolto al grande lago. Nel momento esatto in cui il dio Sole splendeva più alto nel cielo ecco che si verificava puntualmente l’evento tanto atteso. Dalle tranquille acque del lago uscivano due candidi e maestosi cigni con un cocchio dorato ed in piedi sul cocchio appariva bella, splendente, maestosa e sorridente la Ninfa Albaluce avvolta da un lungo mantello color porpora ornato da candido ermellino. Sulle bionde chiome un diadema d’oro e di gemme preziose faceva splendere ancor di più lo smagliante sorriso della Ninfa…”
E fu proprio quel mantello color porpora ornato da candido ermellino la novità della stagione 1952/1953 della Festa dell’Uva. È a quel periodo che risale ciò che negli anni successivi diventò una tradizione da indossare. L’idea venne all’allora organizzatore della manifestazione, Adolfo Uberto, che lo commissionò a Clelia Garzino Oberto. «Mia mamma era allora una sarta giovane – racconta la figlia Tiziana – ma aveva già un piccolo atelier.»
In realtà la Ninfa del 1952, Carla Ronchino, non indossò quel bellissimo mantello alla sua uscita perché venne confezionato nel corso dell’anno. Lo indossò invece nell’edizione seguente, quando passò il testimone alla nuova reginetta della festa, la Ninfa del 1953. Ma Carla Ronchino ha comunque avuto l’onore di provarlo e vestirlo per la prima volta. E il ricordo di quegli attimi di profonda commozione, resta indelebile nella memoria di Clelia, allora giovane “sartina” dalle mani d’oro, a cui la figlia ha voluto regalare una sorpresa: quella di dar luce ad una storia a pochi conosciuta, tenuta per tanti anni nascosta in un cassetto, ma che è valsa la pena di raccontare, perché ogni punto cucito di quel mantello non è stato solo grande sforzo, fatica e passione, ma anche trasmissione di memoria.
Ed ecco che è una storia che piace quella della Ninfa Albaluce e della sua leggenda, e come tale capace di far battere i cuori, di aprire le menti, di stimolare fantasia e creatività, regalando gioia a chi è stato chiamato a impersonarla, e stupore a chi attende di acclamarla. Poi c’è chi intende addirittura riservarle un particolare dono, come quello che Cristina Vaio, giovane studentessa di 22 anni, di Romano Canavese, ha deciso di offrirle. Studentessa presso l’Istituto di Moda Mara Scalon di Torino, Cristina ha frequentato l’Istituto d’Arte, oggi Liceo Artistico, Felice Faccio di Castellamonte, nella sezione “Moda e costume”. Timida, semplice, ma sicura e determinata nelle scelte ha deciso sulla scorta degli studi intrapresi, di mettersi alla prova. «Frequento la scuola per costumisti teatrali – ha commentato Cristina – e la scelta di vestire la Ninfa l’ho vista come un arricchimento personale, una possibilità di vivere un’esperienza nuova, nata dall’idea di valorizzare ulteriormente un personaggio ricco di tradizione. Da osservatrice esterna, mi sono sempre domandata come mai nessuno avesse mai pensato di realizzare un abito a tema per il personaggio femminile della Festa, con particolari che ne richiamassero l’uva, la vigna, la vendemmia, in grado cioè di rappresentarla, in termini di tessuto o di accessori.» Sono infatti tanti i personaggi della storica tradizione del nostro territorio che seguono rigidi schemi non solo in termini di cerimonia o di proclami, ma anche di costumi. Primo fra tutti la “Violetta” del Carnevale di Ivrea, ma non solo. Cristina ha raccontato di avere lei stessa cucito, insieme alla mamma, nel 2008, gli abiti delle damigelle grandi del Carnevale di Romano, di cui per tre anni ha ricoperto anche il ruolo. Da qui l’idea di provare a esaudire questo suo desiderio legato alla Ninfa; una sfida che quest’ultima ha accolto con grande entusiasmo. La prima prova è già stata fatta. Gli occhi di Cristina non nascondono la soddisfazione del gradito pensiero ma non sfuggono anticipazioni, solo qualche velato accenno generale. «È un vestito adatto all’età, fatto su misura, dallo stile classico-elegante, non lungo» ha detto sorridendo. Lei stessa lo ha ideato, tagliato e cucito. E ancora una volta vola la fantasia per cercare di immaginare sfumature e colori; e in fondo è giusto che i sogni rimangano tali fino in fondo, fino a quando la Ninfa verrà acclamata e Cristina applaudita perché è bello pensare che una giovane studentessa abbia cercato, attraverso impegno e passione, di farsi portavoce di un’iniziativa che ha saputo svilupparsi in un momento difficile. La leggenda della Ninfa non è poi così tanto lontana dalle vicende dei nostri tempi. Racconta infatti la leggenda: “…Tempi felici, animi buoni, gente quieta. Ma tutto questo fu di breve durata poiché problemi nuovi vennero a crearsi con il passare dei secoli…” Incremento demografico, emigrazione in altre terre, spopolamento, esperienza e presunzione, innovazione ed imprudenza, disastro ambientale e necessità di nuove risorse economiche. Ecco che in un periodo di forte crisi non solo economica ma anche di valori, è bello vedere che una giovane studentessa ha saputo da sola, lanciare un messaggio di collaborazione e lo ha fatto non attraverso le parole, ma i fatti, giocando con le stoffe, gli aghi, i fili, unendo i colori e perché no, forse qualche accessorio: tutto questo realizzando un sogno, che verrà infine avvolto dal grande mantello “color porpora ornato da candido ermellino”. Brava Clelia, brava Cristina
Karen Orfanelli
Mario Damasio
Set 14 2013
80^ Festa dell’Uva: Clelia e Cristina, sarte della Ninfa
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