Il dramma del terremoto va al di là delle case distrutte
Patrizia cantava nel coro di Barisciano. Era primo soprano. Dal terremoto del 6 aprile 2009 non canta più: quel canto le si è strozzato in gola. “Se canto mi viene da piangere: non ce la faccio.”
E’ la paura uno dei problemi più grandi da affrontare in Abruzzo. La paura che ti porta alla depressione. E che non ti fa più risolvere i problemi, ti fa perdere il bandolo della matassa, che però è la tua vita.
Di paura se ne vede ancora tanta a Barisciano. La depressione la raccontano i dati che sono forniti dal vice Sindaco del Comune, il dottor Giuseppe Calvisi, anatomo-patologo all’ospedale di L’Aquila. Parla di oltre 3mila casi stimati, secondo i dati ospedalieri. Lui, amministratore del Comune al tempo del terremoto e riconfermato dopo le elezioni, ha vissuto dopo il 6 aperile una full immersion di settimane: dalla notte della scossa alla difficoltà iniziale di quantificare i danni, dalla ricerca dello suocero, la notte stessa del terremoto, a quella polvere rossa che avvolgeva la pianura. Calvani abita a Petonia, frazione di Barisciano, un po’ più in alto rispetto al capoluogo. “Non si capiva, non si riuscivano a quantificare i danni. Quello che vedevamo era solamente fumo rosso. Era la polvere delle case crollate, i mattoni che si sbriciolavano sotto l’effetto delle onde, una altalena che ogni volta rendeva più forte e devastante le scosse.”
Poi lo scontro con la dura realtà dell’ospedale. “Alla mattina alcuni cadaveri erano stati collocati in una stanza, perchè l’obitorio era inagibile. Lì si cominciò a capire la vera entità del dramma.”
Ed anche un uomo abituato, per professione, ad agire con una certa lucidità, è caduto in preda alla depressione: “Quante volte mi è venuto da piangere” dice raccontando un passato che oggi, anche per il ruolo da amministratore che ricopre, sembra essere superato.
Ma la depressione è là pronta a coglierti all’improvviso. Per la perdita dei punti di riferimento: la propria casa, i ricordi, il borgo, la vita del paese oppure per la perdita materiale degli immobili. “Ci sono molte persone che hanno investito, in passato, nel mattone e che, soprattutto a L’Aquila si trovano oggi con le case crollate o devastate.” Spesso erano le stesse case che venivano utilizzate per essere affittate a quel vasto numero di studenti che frequentavano le università aquilane. Studenti che oggi non hanno più motivo di stare a L’Aquila. Dunque anche una perdita pesante in termini economici, che comunque si è tentato di arginare anche tendendo stretto il tessuto sociale. Barisciano è sempre stato un paese di emigranti e la batosta del terremoto poteva spingere gli abitanti, sfiduciati, ad andare via, a lasciare il proprio paese.
Anche in questo caso la Protezione Civile ha avuto il proprio ruolo nel tenere unito il paese. “La soluzione di posizionare le tende vicino alle abitazioni danneggiate è servita a tenere stretto il legame con le radici – dice Umberto Ciancetta, coordinatore provinciale della Protezione Civile della Provincia di Torino – Una soluzione magari casuale, ma che si è rivelata importante per la vita di Barisciano e dei suoi abitanti, soprattutto i più anziani.”
Lo conferma il maresciallo Michelangelo Campanella, Comandante della Stazione Carabinieri di Barisciano. Anche la caserma al momento non è agibile e gli uffici sono stati trasferiti dalla parte opposta della strada, in alcuni container.
Ma oggi quella soluzione potrebbe non bastare più, perchè la protezione civile non c’è più, se non saltuariamente, oggi se ne vanno anche i vigili del fuoco ed il rischio è quello di sentirsi soli, anche in mezzo alle persone. Perchè il dramma del terremoto va al di là delle case distrutte
La popolazione di Barisciano ha avuto paura ed ha tuttora paura: prima per il terremoto, oggi per il rischio di non vedere più un futuro per il paese, per le case, per i figli ed i nipoti.
E’ il rischio di appiattimento di cui abbiamo spesso sentito parlare nella due giorni abruzzese.
Quella paura che blocca Patrizia, che non riesce più a cantare.
Mario Damasio