La storia del nostro Piemonte raccontata a Pavone attraverso i suoni del “Paesaggio Sonoro”
Non suonano solo gli strumenti, ma anche gli attrezzi da lavoro della vita contadina: creano sonorità particolari, difficili da raccontare, efficacissimi da ascoltare
PAVONE – Bogianen! Un termine con il quale per tradizione si indica un certo tipo di piemontesità poco incline ai cambiamenti, diciamo poco recettiva.
E invece “i bogianen a bogio”. Certamente lo hanno fatto in passato.
Il racconto popolare dei “Musicanti” di Riva presso Chieri parla di quella piemontesità che omai sta scomparendo e che sta alla base della nascita del Civico museo del Paesaggio Sonoro.
L’idea del museo nasce diversi anni fa, quando Domenico Torta ha iniziato a raccogliere materiale relativo alla musica popolare del Piemonte. Prima un insieme di strumenti e oggetti accatastati, poi un vero e proprio museo con sede a Palazzo Grosso. Era il 2005. Determinante l’apporto dell’Università di Torino che ha consentito la creazione di un gruppo di studio permanente: intanto per catalogare gli strumenti musicali e poi per realizzare interviste e registrazioni che hanno portato all’acquisizione di documenti sulle tradizioni dei musicanti, il canto narrativo, la costruzione e l’uso di strumenti da caccia, la tradizione campanaria. E nel frattempo è nata anche l’esperienza dei Musicanti, gruppo fondato nel 1995 con l’obiettivo di reinterpretare i repertori da ballo propri degli ensembles tradizionali del quintet, del bandin e dei musicant.
Ma non bastava: bisognava fare di più. Raccontare le storie raccolte e dare un canovaccio anche alle musiche.
E allora nasce lo spettacolo “Ant j’euj na storia… la nosta” e “Se ij bogianen a bogio…porca miseria!”.
Il filo conduttore è la musica, non solo quella degli strumenti tradizionali dei musicant, soprattutto gli strumenti a fiato e la fisa, ma ogni oggetto può diventare uno strumento, persino gli attrezzi da lavoro della vita contadina: bottiglie, rastrelli, setacci, cucchiai, falci, cinture dei pantaloni, vanghe, zappe, campane, richiami ornitologici: sono testimoni silenziosi che prendono vita, si travestono da oggetti che “fanno la musica” e creano sonorità particolari, difficili da raccontare, efficacissimi da ascoltare, come il suono del granturco che viene passato al setaccio. I rastrelli, i setacci, le ramazze, le bottiglie raccontano i suoni di un paesaggio sonoro allargato.
Per farvi un’idea confondete insieme la nostra musica popolare, la ricerca degli strumenti dell’ultimo De Andrè, un po’ di jazz, i suoni delle nostre campagne, le emozioni degli “Italiani d’Argentina” di Ivano Fossati; gli altri elementi sono un musicante narratore, degli ottimi musicisti ed un testo accattivante. Il risultato è chiaro: uno degli spettacoli più belli proposti negli ultimi anni.
Gli strumenti del lavoro contadino suonano e tutto nasce da un racconto: un giorno arrivarono dei suonatori in paese e si andarono a riposare nella stalla. Tre rastrelli cominciarono a parlare tra di loro e decisero che non c’era differenza tra loro ed il violino. Tutti e due strumenti di legno.
È uno spettacolo che evoca atmosfere, uno spettacolo di suggestioni: i ricordi, i racconti, i personaggi. Insomma la vita dei nostri paesi. E anche di come è cambiata.
I Musicanti raccontano quella di Riva presso Chieri, ma potrebbe essere qualunque paese delle campagne piemontesi. È anche la storia della fatica e della miseria del lavoro e la necessità di emigrare all’estero come hanno fatto centinaia di migliaia di canavesani e di piemontesi.
E il sogno della “Merica” si intreccia così con la vita che continua nelle campagne italiane.
È una lettera del 1906 che racconta la “Merica”. Il bisnonno di Domenico Torta scrive al padre in un italiano sgrammaticato ma efficacissimo; gli racconta i paesaggi dell’Argentina e che è vero che c’è proprio bisogno di lavoro. Quell’emigrazione che oggi fa sì che ci siano nel mondo almeno sei milioni di persone di origine piemontese. Altro che bogianen. Piemontesi d’oltre oceano, come la storia di quei due fratelli partiti per San Francisco: ma uno è arrivato negli Stati Uniti e l’altro a San Francisco do Sol, in Brasile; e non si sono mai più visti.
Poi il guizzo che fa dire che non è vero, che i bogianen a bogio. Perché è proprio qui che è nata la televisione, la radio, il cinema. Li abbiamo inventati noi, così come abbiamo inventato le telenovelas, che altro non erano che le storie raccontate nelle stalle, e i reality, che si vivevano già nelle osterie dei nostri paesi. «Anche l’America l‘abbiamo inventata noi» arriva a dire Domenico Torta.
È un mondo che scompare e che viene fissato nello spettacolo e nella memoria. Un mondo in cui ci si incontrava e si parlava. Oggi non ci si parla più. «Oggi è cambiato tutto. Le uniche facce strane che si incontrano per il paese sono le nostre – scrive Domenico Torta ad un amico emigrato in Australia – E ci incontriamo sempre più raramente. I paesi sono diventati dormitorio per quelli della città, che sono venuti qui perché amanti della campagna. Ma prima hanno detto che i galli disturbavano il sonno, poi ce l’avevano con l’odore delle stalle; infine con il suono delle campane.»
È cambiato tutto e non si parla più: c’è internet, c’è il bancomat al posto dello sportello bancario, ci sono i supermercati e gli ipermercati, se vai a fare benzina c’è il self service. E poi c’è la televisione che rischia di non fare uscire più la gente di casa. Ecco perché a fine spettacolo Domenico Torta ringrazia il pubblico perhè «se non ci foste stati voi, queste storie a chi le raccontavo».
È anche la storia della fatica e della miseria del lavoro e la necessità di emigrare all’estero come hanno fatto centinaia di migliaia di piemontesi che sognavano la “Merica”
Domenico Torta è l’artefice dello spettacolo: è polistrumentista, compositore, musicista e musicologo, arrangiatore, attore, cantante, studioso delle tradizioni musicali del Piemonte, appassionato scopritore di strumenti popolari antichi; con lui ha lavorato nella stesura dei testi Luciano Marocco.
Per il Civico Museo del Paesaggio Sonoro è stata invece determinante la collaborazione con il Prof. Febo Guizzi e la Cattedra di Etnomusicologia dell’Università di Torino. I Musicanti di Riva presso Chieri sono Pasquale Campera, Valerio Chiovarelli, Pier Luigi Franceschi, Enrico Frezzato, Gabriele Gariglio, Angelo Lasagna e Gabriele Savio.
Ma Domenico Torta non vuole alcun merito particolare, tante sono state le persone che hanno lavorato ai progetti: «Sono gli anziani del nostro paese; senza di loro non ci sarebbero stati i racconti: dall’Italia e dal mondo. Anche per questo nasce il museo e nascono gli spettacoli. Che siano testimonianza di un mondo che abbiamo visto scomparire, ma che è esistito, che non dobbiamo dimenticare, che parla di quanto i bogianen a bogio. Hanno rischiato, lavorato, sudato, hanno fatto festa ed hanno pianto. Hanno visto i nostri prati e poi le praterie d’oltre oceano. Tutti sono stati importanti. Chi è partito e chi è rimasto. Cosa direbbero oggi?
Mario Damasio
Lettera dalla Merica
14 agosto 1906
Caro Padre.
Vengo al riscontro della vostra lettera del 10 maggio che non l’aspettava più è rivata 10 di agosto io era in casa del padrone che faceva girare la macchina dei salami che il padrone ucciso 3 maiali e la preso ancora 70 chili e tutto questo siamo 4 persone a mangiare ma Caro Padre voiautri al sentire questo non guardate perchè io quando ero a casa che sentiva parlare della Merica che dicevano che era gente che avevano da 12 leghe di terra sue io non voleva credere eppure adesso che lo vedo con gli occhi e lo tocco con le mani lo credo perché è come di quelli che ne hanno da 78 leghe che ogni lega sono 4 giornate di Italia però questi che hanno questa terra sono tutti inglesi che hanno tutti animali cioè tutti buoi e cavalli e ne han su da 400 a 500.
Ma Caro Padre voi in quella lettera di 10 maggio mi dice che vi faccia sapere il mio stato che mi trovo i vero che nella provincia di Santafè che lo fatta magra ma ringraziando Iddio non lo mai sofrito niente io diceva così perché non poteva mandare a casa niente ma se per combinasione fossimo venuti da questa parte alla pampa dove siamo ora avremmo mandato qualche cosa di più perché siamo nelle terre nuove che la gente sono molto cercati ma il travaglio non manca mai e non credete che in questa Merica che si faccia della fame nò. Uno che fosse senza lavoro da qualunque che vi presenti per un dire non vi lasia patire di fame specialmente i piemontesi.
Caro Padre non star pensare che io patisca overosia che facciano male come mi posso immaginarmi perchè noi siamo tutti due insieme. Ma io sono molto contento perchè due compagni che si trovano insieme sono più che fratelli perché senza offendervi non sapete che cosa vuol dire ma vi lasio che gli domandi dal cognato Antonio lui ridirà qualche cosa perché uno che non sia stato non sa nulla come io prima che venisse. Altro mi resta di salutarvi e baciarvi di cuore Padre Madre sono il vostro affezionatissimo figlio Ludovico.